Legge vergognosa, il corpo di una donna morta usato come incubatrice: il Governo ha proibito l’aborto | Questo è dove viviamo

Donna incinta (foto di Matheus Rodrigues da pexels) - mandamentonotizie.it
Sembra la trama di un film ma è realtà: il corpo di una donna morta è stato usato come incubatrice per evitare l’aborto.
Ci sono notizie che sembrano uscire da un romanzo distopico, da un film. Situazioni così assurde, così spaventose, che la mente rifiuta si di accettarle come vere. Ma accattono. E quando succedono, ci costringono a porci domande che non avremmo mai voluto fare. Sul corpo, sulla vita, sulla libertà. Sulla morte.
Oggi, in diverse parti del mondo – ea volte anche più vicino a casa di quanto crediamo – è sempre più difficile per una donna accedere all’aborto. Anche quando la legge lo permette, nella pratica l’accesso è limitato: troppi medici si dichiarano obiettori di coscienza, interi reparti ospedalieri diventano inaccessibili. Una donna può trovarsi sola, davanti a una scelta enorme, senza alternative praticabili.
Ma questa storia va oltre. Oltre il dibattito sull’aborto, oltre le questioni morali e legali. Perché ci sono momenti in cui la realtà supera qualunque scenario immaginabile. E ci obbliga a fare i conti con il significato più profondo della parola “diritto”. E con quello che significa essere vivi, o non esserlo più.
Non siamo qui per giudicare. Nessuno ha il diritto di farlo. Ogni donna che arriva a una decisione così difficile come interrompere una gravidanza ci arriva dopo mille pensieri, dubbi, paure. Nessuna sceglie un cuor leggero. Ma il punto non è solo la scelta: è la possibilità di scegliere . Perché in certe leggi, in certe frasi, in certe omissioni, il dramma è proprio lì: non tanto in ciò che è stato fatto, ma in ciò che non si è potuto fare.
È morta ma non può abortire
In questo caso, una giovane donna è morta. Una tragedia in sé. Ma quello che è accaduto dopo è qualcosa che toglie il fiato. Lei è clinicamente morta, eppure il suo corpo è ancora attaccato alle macchine . Non per salvarla, non per speranza. Ma perché incinta di nove settimane. E la legge impedisce di interrompere la gravidanza, a meno che non metta a rischio la vita della madre. Solo che, appunto, la madre è già morta.
E la sua, di madre, che oggi guarda sua figlia “respirare”, ma senza esserci più, racconta con la voce rotta: “È una tortura per me. Vedo mia figlia respirare, ma non c’è” . E aggiunge: “Avrebbe dovuto decidere la famiglia. Non sto dicendo che avremmo scelto di interrompere la sua gravidanza, ma quello che voglio dire è che avremmo dovuto avere una scelta”. E invece ha scelto la legge. E il corpo di sua figlia morta è diventato un’incubatrice.

Una storia che ha dell’assurdo
Succede ad Atlanta, nello Stato della Georgia. Lei si chiamava Adriana Smith, aveva avuto una devastante emorragia cerebrale, ei medici non sono riusciti a salvarla. Ma siccome era incinta da più di sei settimane, i macchinari non sono stati staccati. E il suo corpo è tenuto artificialmente in vita, per far crescere un feto che – secondo quanto si riferisce l’Associated Press e riporta linkiesta.it – presenta già gravi anomalie cerebrali, come la presenza di liquido nel cervello. Quindi non è detto nemmeno che nasca sano. O che nasca del tutto. Quindi, a che pro?
La questione poi oltre che etica è anche economica. Perché oltre il danno, qui c’è anche la beffa. Negli Stati Uniti la sanità è privata: la famiglia teme di doversi accollare costi enormi per una decisione che non ha potuto prendere. Per una legge che ha già costretto almeno 35 donne cerebralmente morte a rimanere attaccate a un respiratore per mesi, trasformate in incubatrici. Questa non è una battaglia tra chi è pro o contro l’aborto. È una battaglia sulla libertà di scegliere. Sulla dignità della vita. E sulla morte che, a volte, viene negata anche quando è già avvenuta.