BAIANESE. La favola del vento: Avella, nasce, ‘A Rocca pasce e ‘A Cicciano more

di Nicola Montanile
Il vento fortissimo e pericoloso che, da un po’ di tempo ed oltre, imperversa nel comprensorio avellano – baianese, procurando ingenti e continui danni, ci vuole, forse, confermare una teoria espressa da più scrittori che il nome di Avella (territorio abellano) derivi da “Vertigine ventis”, ovvero per l’infuriarvi dei venti e ciò lo diceva, in modo particolare, il nolano Ambrogio Leone; in effetti verrebbe dal verbo “avellere”, sradicare con forza.
Ma, a prescindere da queste teorie e del tempo che trovano, bisogna, altresì, tener presente, che la sua presenza, per altro naturale, ci porta a riflettere che diamo vita, inutilmente, alla Festa del Maio, ma non rispettiamo il culto arboreo, in quanto si va in montagna e ci si trova di fronte ad uno spettacolo squallido e deprimente, nel vederla, come si suol dire, “defenestrata” e dove non vi è alcuna protezione delle ceppaie, dove dovrebbe nascere nuovi alberi, per non parlare di altre negatività.
Questo, sicuramente, favorisce l’incunearsi del vento, maggiormente acquistare potenza, in quanto non vi è riparo e freno; eppure, bisogna amare e proteggere la montagna, il bosco e gli alberi che la corredano, perché, per il passato, sono stati fonti preziosissime di economia delle nostre zone e soltanto se si comprende tutto ciò, allora la Festa del Maio assume il vero, dovuto e devoto significato.
‘E sarcinielli (sarcine), per accendere il fuoco, per coprire ‘e nevere”, per usarli per la cottura della calce nelle carcare, non ci sono più; la cicogna che nidificava sui tetti, quando le piaceva stare più a caldo, si metteva presso il caminetti di qualche famiglia che si poteva permettere di accendere il fuoco, significava che, in quella casa, c’era bisogno di calore, perché una vita stava venendo al mondo; ecco perché i bambini li portano le cicogne, in quanto l’albero è fecondità.
Non facciamo entrare il vento, mettendo le “sentinelle naturali”, così come fece il calzolaio, quando venne ingannato, la prima volta, dal figlio di Eolo, che scappò senza pagargli le scarpe che gli aveva commissionato, ma quando tentò di rifarlo, per le nuove scarpe, il ciabattino, furbamente, ci mise un chiodo dentro, che spuntava, dopo alcuni passi e questi per il dolore dovette ritornare, ma l’artigiano non l’aprì, per cui il malo pagatore ancora oggi si lamenta sotto le porte, chiedendo, lamentosamente, di farlo entrare.
Insomma ritorniamo ad “Avella, nasce, ‘A Rocca pasce e ‘A Cicciano more”.